Qualche giorno fa, mentre scorrevo la homepage di facebook, mi è apparso un banner pubblicitario targato Vogue, che rimandava ad un articolo sulla nuova collezione di abbigliamento ed accessori di Sportmax.

“Cosa c’entra col Giappone?”, vi starete chiedendo.

Ebbene, un’attinenza c’è. Sportmax ha dedicato la collezione primavera-estate 2017 alle (Ama), ovvero pescatrici subacquee in apnea, figure tanto affascinanti quanto poco note. Così ho pensato di dedicare un post qui sul blog perché la memoria delle attività di queste donne non si perda, anzi possano essere maggiormente conosciute rispetto a quanto lo sono adesso.

Chi sono le Ama?

La parola ama significa, letteralmente, “donna del mare”. I due kanji che la compongono, sono appunto 海 che da solo si legge umi, cioè mare, e 女, che si legge onna ed indica il genere femminile, la donna.

Secondo la tradizione giapponese queste figure esistono da millenni, e nonostante siano più frequentemente associate alla pesca delle perle, si occupano anche di quella di alghe, aragoste, polpi, ostriche, ricci di mare ed abaloni.

Da quando vi è documentazione a riguardo e sino almeno agli anni ‘60 del 1900, per praticare le attività di pesca, le ama non indossavano che un panno leggero a coprire la zona inguinale, una sorta di perizoma, e non facevano uso di alcun ausilio che permettesse loro di stare più a lungo sott’acqua.

Col passare del tempo, hanno iniziato ad utilizzare maschere subacquee, pinne, ed in alcuni casi anche tute termiche leggere, ma l’impiego di questa strumentazione non era e non è uguale in tutto il Giappone, ancora oggi varia da regione a regione. Lentamente tuttavia, la pesca subacquea tradizionale in apnea sta cedendo il passo alla tecnologia, e sono sempre di più le donne che indossano una muta da sub completa.

Sembra che la società delle ama in origine fosse di tipo matriarcale. Gli uomini se ne tenevano a distanza, riconoscendosi in qualche modo inadeguati. In effetti, immergersi sino alla profondità di 30 metri senza attrezzature, richiedeva doti fisiche non comuni, agilità, costanza e resistenza al freddo. Secondo alcune testimonianze locali, a favorirle era anche la distribuzione della massa grassa corporea, differente da quella maschile, che consentiva loro una migliore omeostasi termica.

Ogni volta che le ama risalivano in superficie dopo un’immersione, producevano un suono tipico detto isobue: si trattava di una tecnica respiratoria messa in atto per evitare danni polmonari. L’effetto sonoro era un fischio acuto, dal tono malinconico, che spesso finì per essere associato romanticamente al canto delle sirene, che le ama con le loro figure sinuose ed eleganti tra le onde, ben rappresentavano.

Questa attività di pesca consentiva alle donne di provvedere al sostentamento proprio, della famiglia e anche della comunità, in particolare nel momento in cui i loro mariti ed i loro figli erano lontani da casa, a bordo di pescherecci.

Ciò che tuttavia maggiormente colpisce delle ama, al di là delle doti fisiche e della spiccata indipendenza, è il profondo legame con il mondo sottomarino, che iniziava a svilupparsi già in giovane età, e che durava in genere per la loro intera vita.

Non vi sono in effetti limiti di età per effettuare questo tipo di immersioni, poiché con allenamenti costanti il corpo man mano si abitua, e anche se gli anni passano non vengono meno le capacità di queste donne, che continuano l’attività anche sino ai 60 anni, ma alcune vanno ben oltre, immergendosi a 90 anni compiuti, grazie alle incredibili facoltà di adattamento sviluppate nei decenni precedenti.

La ragione per cui le ama stanno scomparendo, è legata proprio al fatto che ci volesse molto impegno e molta perseveranza per praticare la pesca in quel modo, ed al contempo perché ad oggi esistono modi più agevoli per pescare perle e frutti di mare, oltre al fatto che sono pochi i luoghi ormai che si sostentano unicamente con la pesca. Si stima ne siano rimaste, ad oggi, circa 2000 in attività.

Hokusai: 蛸と海女 – The Dream of the Fisherman’s Wife

Pittori, disegnatori, scrittori, poeti e registi hanno subito il fascino di queste figure misteriose, immortalandole nelle loro opere. Famose sono le iconiche stampe 浮世絵 (ukiyo-e), letteralmente “immagini del mondo fluttuante”, di Kitagawa Utamaro e Katsushika Hokusai.

Nel romanzo “La voce delle onde”, Yukio Mishima, uno dei più grandi e controversi scrittori giapponesi del XX secolo, con queste parole ci presenta le ama, suggerendoci, tra le righe, che il mondo a cui loro possono accostarsi, contiene ben più segreti di quelli che, chi resta in superficie, può conoscere:

 “Gli uomini vanno fuori a pesca. Si imbarcano su battelli costieri, salpano per tutti i porti sui mercantili, mentre le donne, non destinate a quel vasto mondo, cuociono il riso, attingono l’acqua, raccolgono alghe marine e, quando vien l’estate, si tuffano giù nel segreto fondo del mare.”