Chi non è  mai stato in Giappone, ma apprezza i ristoranti giapponesi in Italia, inevitabilmente conosce solo un certo numero di piatti che hanno avuto un forte riscontro positivo all’estero, e che pertanto sono di facile reperibilità ormai un po’ dovunque.

C’è però una grossa porzione di cucina nipponica che, in un certo senso, resta confinata nella sua terra d’origine, in quanto le preparazioni sono considerate di gusto meno affine a quello occidentale, che dunque le apprezzerebbe – o potrebbe apprezzarle – di meno. O ancora, si tratta di piatti più adatti al contesto domestico che a quello di un esercizio commerciale, che hanno quel retrogusto di “casa”, ed è proprio lì che maggiormente si possono apprezzare.

Proprio con l’idea di svelare cosa sono e come si preparano alcune di queste pietanze misconosciute da noi, è venuta fuori la lezione che ho tenuto lo scorso sabato, presso Momiji, il centro di lingua e cultura giapponese che frequento.

Abbiamo scelto per l’occasione un cibo iconico come il Karē Raisu (カレーライス), il cosiddetto “Curry giapponese“, accompagnato dall’immancabile riso, di cui abbiamo illustrato passo dopo passo il lungo metodo per realizzarlo, e abbiamo preparato l’Ochazuke (お茶漬け), in cui curiosamente il tè verde viene utilizzato come condimento/brodo per il riso.

Volete saperne di più?

 

5 curiosità sul Karē Raisu

  1. Esistono decine e decine, se non centinaia di versioni del Karē Raisu, ogni famiglia giapponese ha la sua, è difficile assaggiare due piatti preparati da due persone differenti, perfettamente uguali.
  2. La versione più classica del piatto prevede tra gli ingredienti principali la carne, che può essere di manzo, di pollo o di maiale.
  3. Esistono varianti vegetariane, in cui possiamo trovare oltre alle classiche patate a cubetti e carote a rondelle, anche funghi, edamame, piselli e quant’altro.
  4. Esistono varianti di mare, con gamberetti, cozze, ostriche, sgombri e persino balena.
  5. Tra gli ingredienti facoltativi, possiamo trovarne alcuni davvero inaspettati; oltre ai più classici edamame, piselli, porri, zucchine, aglio, infatti c’è chi aggiunge alla preparazione cacao amaro, salsa Worcestershire, ketchup, latte, fukujinzuke (verdure sottaceto), rakkyō (scalogno sottaceto).

 

5 curiosità sull’Ochazuke

  1. Il nome di questo piatto, in giapponese お茶漬け, contiene il kanji di tè (茶), ingrediente chiave, ed il termine “tsuke”, che vuol dire “immergere”. Ciò che facciamo in effetti preparando l’Ochazuke, è proprio immergere il riso nel tè verde.
  2.  Si utilizzano principalmente tre varietà di tè verde per realizzare questo piatto: GenmaichaSencha ed Hojicha. Secondo alcune ricette, si può utilizzare un mix di tè verde e dashi, un brodo di pesce a base di tonnetto essiccato, molto utilizzato nella culinaria giapponese.
  3. Viene considerato un “piatto povero”, in quanto spesso il riso che si utilizza è quello avanzato da altre preparazioni, anche del giorno precedente; non essendoci poi un elenco rigoroso di ingredienti da associarvi, si può scegliere secondo il proprio gusto e secondo ciò che c’è in casa.
  4. Si tratta di un piatto di origine antica, risale addirittura al periodo Heian (794 – 1185), in cui era uso comune versare l’acqua sul riso cotto; solo alcuni secoli più tardi, nel periodo Edo (1603 – 1868) divenne abituale l’uso del tè.
  5. Nella città di Kyoto, porta il nome di bubuzuke, e si dice che se un abitante della città prepari ad un ospite una porzione di bubuzuke, voglia lasciargli intendere che non è più gradito, che ha passato il limite.

Le foto presenti nell’articolo raffiguranti l’Ochazuke, sono state scattate durante la lezione da Chiara Colafemmina che approfitto per ringraziare; l’immagine illustrativa del Karē Raisu è invece tratta da Pinterest.