Estate in Italia è per molti sinonimo di vacanze, poiché chiudono le scuole, chiudono anche tanti uffici, e di solito le ferie coincidono proprio con la chiusura aziendale, laddove c’è. Proprio in questo periodo l’anno scorso ero prossima alla partenza per il Giappone, stavo ultimando i preparativi, pensando a cosa avrei messo in valigia di lì a pochi giorni e a come avrei combattuto con l’annunciatissimo caldo.

Sia io che Gianluca, per esigenze lavorative, possiamo prendere due settimane di ferie consecutive solo nel mese di agosto, quindi la nostra scelta del periodo per le vacanze è piuttosto obbligata. Del resto andare dall’altra parte del mondo per meno di 12 giorni è davvero uno spreco, per via del lungo viaggio e anche dei costi che si sostengono. L’ideale, a mio parere, sono due settimane, per poter vedere abbastanza cose senza che diventi un tour de force.

 

Che cos’è un viaggio?

Penso che un viaggio non sia fatto solo di monumenti visti e spuntati su una check list, ma sia un connubio di esperienze varie, che certamente partono dal pianificare le cose che riteniamo imperdibili da vedere, ma passano anche dal godere un po’ dei modi di vivere e dei ritmi di vita del luogo che andiamo a scoprire.

Il viaggio ognuno lo vive a modo suo e lo apprezza in modo peculiare, non c’è un modello giusto o uno sbagliato di affrontarlo, il modo migliore è semplicemente quello che ci appaga, per questo amo viaggiare in due o in gruppi molto ristretti dove gli intenti sono dichiaratamente comuni. Non apprezzo troppo i viaggi che includono tante persone, perché per forza di cose si hanno obiettivi diversi e spesso poco compatibili. La mediazione di intenti è di solito la risposta in questi casi, ma provare ad accontentare un po’ tutti, spesso si traduce con il non esaudire appieno i desideri di nessuno.

C’è chi è soddisfatto andandosene in giro e scoprendo posti poco turistici ma molto caratteristici, interagendo con gli abitanti del luogo e lasciandosi guidare, procedendo così a ritmo lento e in modalità spontanea; c’è chi ama decidere a priori quasi minuto per minuto il programma di tutti i giorni di viaggio, consultando ben prima della partenza guide cartacee e online, per sapere gli orari di apertura di castelli, templi e quant’altro, e definendo persino i luoghi dove mangiare.

Io penso di collocarmi a metà tra questi due estremi, compro sempre una guida cartacea e gironzolo online per eventuali consigli di viaggio, se ho amici che ci sono già stati – come ovviamente era il caso del Giappone, ma non solo – li consulto per avere suggerimenti; stabilisco i monumenti che voglio vedere, ma non sono troppo fiscale sul quando, anche se annoto preventivamente le giornate settimanali di chiusura e gli orari di apertura.

 

Come comunicare in Giappone?

In molti posti dove sono stata, parlando inglese non ho avuto particolari problemi di comprensione di indicazioni stradali, menu, didascalie nei musei e quant’altro. Un po’ ingenuamente ho pensato che questo valesse per tutte le grandi città industrializzate, specie in Occidente, ma non è davvero così.

Quando siamo stati a San Pietroburgo, quasi tutto era scritto solo in cirillico, e anche la gente difficilmente masticava l’inglese. Budapest si è rivelata sorprendentemente un mosaico linguistico, ci hanno risposto anche in italiano alcuni, ma in termini di indicazioni non era sempre facile trovare testi in inglese.

In Giappone invece la cartellonistica, specie nella metro, era decisamente più travel friendly, ma la mia esperienza si limita a Tokyo, Kyoto, Nara ed Osaka. Nei paesini più piccoli, specie in zone rurali, a detta dei molti amici che ci sono stati, la situazione si ribalta. Non solo, considerando le dimensioni delle metropoli ed il dedalo dell’underground, anche nella capitale non è così scontato destreggiarsi.

Il problema maggiore resta però la lingua parlata, i giapponesi parlano molto poco l’inglese, quelli che lo parlano lo pronunciano decisamente male, e spesso per timidezza o timore di fare brutta figura preferiscono non provarci affatto. Cercheranno però di aiutarti se capiscono il problema, magari accompagnandoti fisicamente sino al treno che devi prendere, ma il giapponese che ti risponde chiaramente in un inglese comprensibile è una mosca bianca.

 

Come comunicare efficacemente problemi e bisogni in giapponese

Le mie interazioni sono state a metà tra l’inglese e il giapponese, che parlo un po’ ma non certo fluentemente, e spesso i discorsi finivano con tentativi di spiegazioni anche a gesti. Ma naturalmente non tutti i turisti parlano la lingua locale, e visto che certo non si può imparare a parlare la lingua giapponese in pochi giorni, penso che la soluzione migliore sia imparare qualche frase importante ed utile, o in alternativa portare con se un foglio da cui leggerle, o da far leggere.

Importante ed utile non sono concetti universali in questo caso, dipendono dai nostri bisogni, dai nostri problemi. Se sei celiaco, sarà essenziale per te sapere come dire che lo sei in tutti i ristoranti, cosicché se anche ordinerai un piatto pieno di ingredienti che non ti dicono niente, potrai essere indirizzato dal personale verso pietanze che non ti facciano male. Lo stesso vale per le millemila allergie ed intolleranze che ci sono, per esempio noi in viaggio abbiamo dovuto far presente in alcune occasioni l’allergia di Gianluca alle fave ed ai piselli.

Il discorso sull’utilità non si limita all’ambito alimentare, può essere utile anche imparare a chiedere dove si trova un dato luogo, o conoscere come si pronunciano in giapponese i nomi dei monumenti che si vogliono visitare.

Proprio per questo motivo, grazie anche al supporto delle insegnanti di Momiji, centro di lingua e cultura giapponese, sto preparando alcuni prontuari, divisi per categorie, per rendere l’esperienza di viaggio nel Paese del Sol Levante più semplice anche per coloro che si approcciano a questa cultura millenaria per la prima volta, e quindi ancora non la conoscono.

Il prossimo post racchiuderà consigli utili e tante parole e frasi relative alla cucina, ma qualora tu abbia domande o richieste specifiche, non hai che da scrivermi.